venerdì 12 novembre 2010

Mi sento domandare.


<< Dobbiamo ritornare a sentire con le mani >>, mi dice un’amica qualche giorno fa, << perché le cose bisogna capirle con i polpastrelli se vuoi dargli la vita >>.
Letizia Fornasieri, artista milanese, mi di-mostra la stessa cosa.
<< Io non sono un’artista contemporanea. L’arte contemporanea è solo un guazzabuglio di idee illustrate. Io uso ancora pennelli e colori >>. Letizia è precisa. Misura queste parole con fermezza e sembra gustarsele vincente, dopo averle pronunciate, perché sa quel che dice…lei che di significazione ha il pennello tinto.
Incontro Letizia Fornasieri all’incontro padovano “Arte e quotidianità” di cui è ospite e protagonista.
<< Dipingo ad olio quadri a grandezza naturale >> rivela con orgoglio,
<< sono ancora legata ad una dimensione artigianale di arte >>. Perché in fondo, alla pittura “vecchia maniera”, nelle gallerie d’arte contemporanea si permetterebbe di esporre solo nello sgabuzzino di un sottoscala.
Nessuno si chiede più il senso che soggiace alle opere esposte nelle gallerie. Basta che esse abbiano impatto su chi le guarda. Ma.. in chi cerca di capirle, suscitano qualcosa?
Mi sento domandare. E anche Letizia: << Io dipingo oggetti, perché credo che ogni cosa abbia la sua ragion d’essere. Io non faccio altro che ascoltare e dare dignità a ciò che mi circonda. Ogni giorno sono interpellata. Se non ci si chiede il senso che investe tutte le cose, si muore>>.
Si muore.
Se si smette di cercare, si muore.
Ma il senso spesso lo si butta sotto il letto, a impolverare con i problemi ingombranti e le paure disordinate che si piegano su se stesse proteggendosi a vicenda. Poiché esiste il caso e nulla più. Negli anni zero crediamo nelle coincidenze, nelle sfortune impreviste, nella buona stella e nell’occasionalità. Tanto poi quel significato ci troverà, magari all’angolo di un incrocio, con le spalle al muro, aspettando. Ma ad attendere, le membra diventano indolenzite e le spalle si torcono su loro stesse e non c’è più spazio ne per uscire ne per ritornare a se stessi.
<< Non bisogna sottrarsi alla realtà. Io dipingo per rivelare il segreto di ciò che rappresento >>, Letizia spiega presentando un suo quadro raffigurante una sedia ricolma di mele cotogne, una sedia “completa” come dice lei. << La vedete questa sedia? La percepite la sua soddisfazione? Questa sedia è compiuta poiché svolge il suo compito. E allora quando ha raggiunto il suo scopo non è più solo una semplice seggiola. Lei è trono>>.
Ridurre per non soffrire; strizzare, costringere per non voler capire. Per non imparare a capirsi.
Osservare fiaccamente, sazia di semplicità chi si accontenta; chi vede in una sedia solo un posto a sedere e non un posto da occupare. Servirebbero altri occhi. Occhi che si fanno palmi, dita, impronte digitali. Occhi che premono e lasciano il segno nelle cose che toccano con lo sguardo.
Letizia Fornasieri insegna ad andare oltre i riflessi della realtà poiché essi diventano ombre che ricadono su noi stessi come pesi inerti. Quest’artista lo fa ogni giorno, tramite una pittura sanguigna ed un’esegesi del quotidiano logorante e passionale che non può non far riflettere chi ha fame di “rendersi conto”.