mercoledì 16 marzo 2011

Fuori tempo


Avevo i capelli vaporosi, da piccola. È strano come fossero sempre in disordine, malgrado mia madre me li spazzolasse con forza alla mattina prima di andare a scuola. Non stavano mai al loro posto, i miei capelli.
E se fossi io ad essere sempre stata fuori posto?

venerdì 14 gennaio 2011

Jónsi - Around Us (Acoustic Version)

Around Us. Ricomincio dalle distanze.

Ricomincio dalle distanze



Questa sera mi sono riempita la pancia di distanze sfuggevoli. Questo pensiero è un boccone legnoso e ha un sapore sconosciuto. Ma ha anche un retrogusto primordiale e a masticarlo bene, mi accorgo di doverlo provare..quasi forzatamente, per il mio bene. Ci sono legami, quando le distanze si fanno filamentose e disordinate, che è bene concludere. O meglio, richiudere. Richiudere nel senso di proteggere con del polistirolo, imballare per bene e poi sigillare il pacchetto. Le relazioni non vanno dimenticate, a volte c’è solo bisogno di salvarle.

venerdì 12 novembre 2010

Mi sento domandare.


<< Dobbiamo ritornare a sentire con le mani >>, mi dice un’amica qualche giorno fa, << perché le cose bisogna capirle con i polpastrelli se vuoi dargli la vita >>.
Letizia Fornasieri, artista milanese, mi di-mostra la stessa cosa.
<< Io non sono un’artista contemporanea. L’arte contemporanea è solo un guazzabuglio di idee illustrate. Io uso ancora pennelli e colori >>. Letizia è precisa. Misura queste parole con fermezza e sembra gustarsele vincente, dopo averle pronunciate, perché sa quel che dice…lei che di significazione ha il pennello tinto.
Incontro Letizia Fornasieri all’incontro padovano “Arte e quotidianità” di cui è ospite e protagonista.
<< Dipingo ad olio quadri a grandezza naturale >> rivela con orgoglio,
<< sono ancora legata ad una dimensione artigianale di arte >>. Perché in fondo, alla pittura “vecchia maniera”, nelle gallerie d’arte contemporanea si permetterebbe di esporre solo nello sgabuzzino di un sottoscala.
Nessuno si chiede più il senso che soggiace alle opere esposte nelle gallerie. Basta che esse abbiano impatto su chi le guarda. Ma.. in chi cerca di capirle, suscitano qualcosa?
Mi sento domandare. E anche Letizia: << Io dipingo oggetti, perché credo che ogni cosa abbia la sua ragion d’essere. Io non faccio altro che ascoltare e dare dignità a ciò che mi circonda. Ogni giorno sono interpellata. Se non ci si chiede il senso che investe tutte le cose, si muore>>.
Si muore.
Se si smette di cercare, si muore.
Ma il senso spesso lo si butta sotto il letto, a impolverare con i problemi ingombranti e le paure disordinate che si piegano su se stesse proteggendosi a vicenda. Poiché esiste il caso e nulla più. Negli anni zero crediamo nelle coincidenze, nelle sfortune impreviste, nella buona stella e nell’occasionalità. Tanto poi quel significato ci troverà, magari all’angolo di un incrocio, con le spalle al muro, aspettando. Ma ad attendere, le membra diventano indolenzite e le spalle si torcono su loro stesse e non c’è più spazio ne per uscire ne per ritornare a se stessi.
<< Non bisogna sottrarsi alla realtà. Io dipingo per rivelare il segreto di ciò che rappresento >>, Letizia spiega presentando un suo quadro raffigurante una sedia ricolma di mele cotogne, una sedia “completa” come dice lei. << La vedete questa sedia? La percepite la sua soddisfazione? Questa sedia è compiuta poiché svolge il suo compito. E allora quando ha raggiunto il suo scopo non è più solo una semplice seggiola. Lei è trono>>.
Ridurre per non soffrire; strizzare, costringere per non voler capire. Per non imparare a capirsi.
Osservare fiaccamente, sazia di semplicità chi si accontenta; chi vede in una sedia solo un posto a sedere e non un posto da occupare. Servirebbero altri occhi. Occhi che si fanno palmi, dita, impronte digitali. Occhi che premono e lasciano il segno nelle cose che toccano con lo sguardo.
Letizia Fornasieri insegna ad andare oltre i riflessi della realtà poiché essi diventano ombre che ricadono su noi stessi come pesi inerti. Quest’artista lo fa ogni giorno, tramite una pittura sanguigna ed un’esegesi del quotidiano logorante e passionale che non può non far riflettere chi ha fame di “rendersi conto”.

lunedì 7 giugno 2010

Lettera anonima n. 2


Ti scrissi questa lettera molto tempo fa. Era il periodo in cui scrivevo moltissime lettere anonime. Ne ho spedita solo una fin d’ora. Quella che spedirò a te domani sarà la seconda.
Quattro mesi fa’ speravo di vederti finalmente felice.
La scorsa settimana ti ho incontrata e lo eri davvero. Ci sei riuscita hai visto ?
Ci sei riuscita….



Oggi, per te.


I tuoi occhi mi ricordano l’inverno. Non quello delle notti ghiacciate in cui si affonda nel piumone, inutilmente alla ricerca di un po’ di calore, ritrovandosi sempre però con le dita dei piedi congelate e una fastidiosa insoddisfazione tra i denti.
Parlo dell’inverno dei riverberi del tramonto sulla neve e dei pomeriggi passati con il naso schiacciato contro la finestra.. in assorta contemplazione dell’ennesimo regalo di Dio; una nevicata il giorno di Natale magari. Quegli inverni in cui tenere fra le mani una calda tazza di thè e sentire pizzicare i polpastrelli dal calore della ceramica è un piacere.
I tuoi occhi mi ricordano la mia sciarpa di lana celeste… la mia preferita, la più preziosa che possiedo. Le tue dita che affusolate attorcigliano le tue bionde ciocche, disegnano nell’aria deliziosi pensieri. I tuoi capelli di grano, che si sciolgono al vento d’estate quando fuori, il tepore della terra si sente sulla pelle, sanno di miele e si sposano con i papaveri dei campi in primavera.
Così ti dovresti svegliare ogni mattino: con un sorriso disteso sulle labbra perché tutta questa Tua bellezza è per te: gli altri ne contemplano la deliziosa confezione ma tu ne percepisci la speciale eccezionalità.
…E un giorno qualcuno di molto fortunato ne assaggerà l’essenza perché tu deciderai di accoglierlo, dapprima con discrezione, poi con sincero trasporto.
Tu essere speciale che vagabondi alla ricerca di un apprezzamento, uno sguardo di desiderio, una parola di conferma, sei creatura perfetta. Tu che divori i tuoi giorni con apprensione, in attesa di quel qualcosa che ti manca.
Perché quel vuoto si fa sentire ad ogni tuo risveglio, comprime il respiro e ti costringe con l’aria, ad inalare le amarezze che ritagliano il tuo cuore di carta in tanti piccoli frammenti sgualciti.
Come riempire tutto quello spazio vuoto? CON COSA riempire l’assenza.
Forse stai cercando la cosa sbagliata, ti affanni nella direzione opposta. Cerchi il problema lontano da te, fuori da te quando forse dovresti RITORNARE a te, riprenderti in mano, abbracciarti, apprezzarti, volerti bene.
Non hai bisogno che di te stessa ora, di riscoprire quel qualcosa che possiedi ma che in questi anni hai accollato alla persona che ti stava accanto. Hai rubato a te stessa la sicurezza, la consapevolezza, l’unicità che hai attribuito ad altri con ingenuità.
Tu vieni prima di tutto..e tutti.
Tu, Tu.
L’amore non tende solo verso un’altra persona : ci nasce dentro e prima di donarlo dobbiamo risparmiarne premurosi anche un po’ per noi.

Ti scrivo questa lettera perché ognuno dovrebbe riceverne una nella vita, disinteressata, sincera: una lettera che arrivi al cuore e lo apra all’inaspettato.
Io credo in te G.
Lo sai che ci riuscirai vero ?

martedì 4 maggio 2010

mi ricordo Beirut...


Il fumetto di Zeina Abirached edito da Becco Giallo profuma di succo di melograno, di lavash, e di samovar.
Già dalla copertina pregusto un tratto corposo la cui spigolosità rievoca le strisce della Satrapi, un'altra nota icona femminile delle graphic novel d'oggi.
Apro il fumetto con delicatezza in modo che non si formi quel solco antiestetico sul dorso del libro.
I personaggi sono bianchi e immersi nel nero di pece delle pagine. Faccio scorrere il dito indice sulla carta in modo che il polpastrello raccolga come carta assorbente i pigmenti acromatici di quel nero asfissiante. Le vignette scure sono opprimenti: c'è un nero invadente che tutto compenetra e riempie. Un nero ridondante troppo carico e opulento. C'è puzza di sgabuzzino chiuso. La pagine robuste, troppo spesse lanciano un' (a)sonorità confusa, mista a cacofonia sorda, quasi impercettibile. Sento voci echeggiare nella Beirut degli anni zero, coperte dal nero.
Urlano le bombe ma Beirut no. Fuga, esodo, rimorso...uno zaino sempre pronto.
I ricordi.
Qualche giorno fa lessi un articolo sull'importanza della lettura. Il giornalista diceva che grazie ai libri e ai fumetti possiamo viaggiare senza muoverci di un millimetro dalla nostra poltrona, conoscere personaggi indimenticabili, immergerci in situazioni surreali.
Leggendo..l' impossibile diventa accessibile: basta volare su aerei di carta immaginari.
Ecco cosa si prova a leggere "Mi ricordo Beirut".

domenica 25 aprile 2010

Adam



"Il pilota impara molte cose dal piccolo principe, sopratutto sull'amore. Mio padre mi ha sempre detto che ero io il piccolo principe. Ma dopo aver conosciuto Adam, ho capito che sono sempre stata io il pilota."

Quando ero piccina mi portavo appresso Il Piccolo Principe costringendolo ad accartocciarsi nella federa di una tasca o nella pancia  di una borsa. Sarà la copertina attraente dai disegni essenziali ma teneri.. O semplicemente sarà la sinfonia di parole aggraziate che piovono ordinate su quelle pagine di carta un po' rigida e piacevole al tatto.
Beh, Adam, il film, è ugualmente raffinato.
Il protagonista, da cui il film prende il nome, è prezioso. Adam non vive su un piccolo pianetino oltre etere, non ha una volpe come amica.
Adam costruisce giocattoli, si dilunga in ostiche disquisizioni di astronomia, mangia esclusivamente pasta al formaggio preconfezionata e non ama stare in mezzo alla gente; o meglio.. non gli riesce.  
Il protagonista del film è sfuggente, ermetico, parla pochissimo e se lo fa centellina parole curiose, mirate e indagatrici che si intrufolano a volte con tenerezza a volte con scomoda invasività nelle persone che gli stanno accanto. Adam è una personalità delicata, fragilissima..una di quelle persone a cui vorresti accarezzare il cuore per farla sentire al sicuro.
Che poi il protagonista sia affetto dalla sindrome di Asperger, beh, è solo una piccola parentesi nella storia.
Tutto nel film è squisitamente tenue: la fotografia rarefatta, i colori pastello delle scene, i dialoghi scanditi da un ritmo cinematografico lento e misurato, un po' come lo stesso protagonista.
Se è da molto che non leggete il libro di Saint-Exupéry e avreste voglia di riprenderlo in mano, passate una piacevole oretta in compagnia di Adam.