sabato 24 aprile 2010

Io voglio cadere


Finita la lezione all’università mi infilo subito le cuffie dell’mp3 nelle orecchie.
A testa bassa, ben attenta a non incrociare lo sguardo di nessun compagno di corso, mi arrampico a passo veloce su per la breve salita che si dilunga dalla porta dell’aula fino al cancello principale.
Ce l’ho fatta anche oggi.

“Qui a Los Angeles stiamo tutti dietro vetro e metallo: il contatto fisico ci manca a tal punto che ci scontriamo con gli altri solo per sentirne la presenza.” -Crash-
Il mio vetro e il mio metallo sono la mia pelle e quello che si sta cristallizzando appena più sotto.
Mi sento costretta a racimolare la vita degli altri.
Bevo dai loro occhi la gioia che è pane per il loro cuore affamato. Mi prendo il dolore delle loro perdite; i rimpianti del loro passato. Mi entusiasmo per le preoccupazioni dei loro futuri e i piani deliziosamente stillati dai loro sogni.
Non so quanto durerà ancora questa situazione. Veramente.
Oggi, uscita dall’aula, ho riempito le mie orecchie di una musica assordante, dirompente per non sentir più nulla, per non sentirmi; perché oggi ho percepito un tonfo sordo, che ridondante ha riempito il mio corpo di un rimbombo straziante.
Questo gemito così umano mi ha ricordato che ci sono ancora.
Ci sei ancora Martina.
Allora ho cominciato a girare a vuoto per la città. Volevo perdermi, per poi ritrovarmi, per avere l’illusione che tra un vicolo nascosto e un antro segreto avrei scovato il premio più grande di questa rocambolesca caccia al tesoro che è la vita.
Vorrei trovarmi . Vorrei esserci.
Ma Padova è troppo mia, ne ho assorbito la nebbia a fondo, fino a tossire. Padova mi si è impressa nella carne. Padova è fuori e dentro, è sotto la pelle, è un nylon che opprime e stringe.
Padova, l’università, i ricordi delle superiori sono in fondo la stessa cosa: opprimenti ma necessari per questa mia sopravvivenza.
Ma se non volessi più arrancare? E se avessi deciso che mi sono trascinata il mio presente così tanto da sbucciarmi le ginocchia e sanguinare ? Non sarebbe più questione di lasciarsi vivere dalla vita degli altri. Finalmente non dovrei parlare mai più di sopravvivenza. L’università, Padova, e i ricordi non sarebbero più requisiti essenziali ma semplici attributi facoltativi.
Beh oggi abolisco il condizionale e decido per un presente vivido.

Quella volta avevo ragione.
C’ho pensato sta sera mentre camminavo protetta dall’alone di una luna luminosa che pietosamente mi ha coperto con il suo manto argentato. Non ho mai voluto fare l’università perché non ne sentivo l’esigenza. Terminata la maturità diamo per scontato il fatto che sia normale procedere gli studi ma cazzo, di normale in questo ragionamento non c’è proprio niente.
Quel giorno dissi che me ne sarei andata perché il mondo è PER me, lo so.
C’è così tanto lì fuori che il cuore potrebbe franare dalla gioia al solo pensiero.
C’è così troppo tutt’intorno che non avrei dovuto farmi convincere a restare.
dissi quel giorno.
E invece ora sono qui a mettere un po’ di scotch al mio piccolo cuore di carta per tenerlo integro, per evitare che si screpoli alle intemperie delle avversità.
Dovevo deludervi, dovevo osare ma le aspettative nei miei confronti erano così tante che ho ceduto. Ho dovuto adattarmi a queste e diventarne vittima.
Ucciderò il mio carnefice, lo ucciderò; ma dovendolo fare ucciderò me stessa. E’ colpa mia.
Di fronte alla possibilità di sbagliare andandomene incontro alla possibilità (oh compianta possibilità, di errore o salvezza chi lo saprà mai ora) ho deciso di procedere su un sentiero già tracciato. Mi sono fatta scegliere da questo futuro che non posso più credere come MIO.
Non è mio questo futuro.

“Il segreto del procedere sta nel non pensare troppo” - spiegava Zarathustra- “Bastano un timido dubbio un indugio e quella voragine è pronta a fagocitarci. La vita, come quel filo, va affrontata a testa eretta, senza mai guardare giù, senza mai guardare troppo dentro alle cose.” Zarathustra così trascorreva gran parte della sua vita vigile in bilico su di un filo. Nietzsche


Ma Zarathustra un giorno cadde.
In fondo, tutte le cose che egli disse erano giuste, ma anche ai più saggi e ai più integri, prima o poi, almeno una volta nella vita, capita di perdere l'equilibrio, di perdersi un poco. A qualcuno capita da seduto e allora è solo un piccolo panico, nulla di grave insomma.
A qualcuno invece capita sulla fune lassù in alto..
E in questo caso non resta altro che abbandonarsi all'oblio della possibilità.

Io voglio cadere.

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